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Lo spezzò...

Scritto da Don Flavio Ferraro Sabato 1 Giugno 2013

Non so se avete mai fatto caso al gesto che il sacerdote compie, in silenzio, subito dopo il segno della pace. Parte la solita invocazione: “Agnello di Dio che togli i peccati del mondo…”, che viene ripetuta tre volte. Generalmente in Chiesa l’attenzione non è al top: c’è chi sta ancora stringendo la mano a un altro, chi si è allontanato dal suo posto per abbracciare un amico, chi si guarda intorno ed è in fase di rientro al suo banco, chi è ancora distratto e si guarda intorno, chi osserva il coro che inizia a cantare…

Di solito a questo punto della Messa, si cerca di recuperare il silenzio. Mentre queste cose accadono, il sacerdote – in silenzio -, leggermente inchinato sull’altare, prende l’ostia consacrata nelle sue mani e la spezza lentamente. Sottovoce, mentre l’assemblea ripete o canta l’Agnus Dei, sussurra: “Il corpo e il sangue di Cristo, uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna”. Mette un pezzetto dell’ostia spezzata nel calice e genuflette in adorazione per qualche istante. Questo gesto, inosservato e silenzioso, chiamato “frazione del pane” era ciò da cui derivava anticamente il nome stesso della Messa: fractio panis.  É un gesto importante, quindi, se dà addirittura il nome alla celebrazione! Forse andrebbe seguito bene, spiegato e riconosciuto dall’assemblea cristiana. Sarebbe bello che oggi poteste seguirlo e riconoscerlo, come forse non avete mai fatto prima, in ginocchio. Sarebbe bello che, vedendo la fractio panis, poteste provare a sentire cosa questo piccolo e sconosciuto gesto può dire al vostro cuore, oggi.

C’è molta letteratura su questo tema. Dio, l’Onnipotente, si lascia spezzare per donarsi a noi. Accetta di essere fatto a pezzetti, per amore. Per diventare di tutti, non di uno solo. Chiediamoci: cosa può significa questo gesto, per me? Qualche autore spirituale dice che Gesù, presente nell’ostia consacrata, si lascia spezzare nelle mani di un peccatore: quale maggiore umiltà? In Inglese, lingua abbastanza concreta – meno adatta del Latino ad esprimere concetti astratti, la preghiera che il prete dice sottovoce è “May this mingling of the Body and Blood of our Lord Jesus Christ bring eternal life to us who receive it”, che potrebbe essere tradotto: “Possa questo miscuglio del corpo e sangue del nostro Signore Gesù Cristo portare salvezza eterna a noi che lo riceviamo”. Secondo alcuni autori il “miscuglio” (lo diciamo con infinito rispetto) della Carne e del Sangue di Dio, nel calice, sono l’espressione del dono totale: cosa poteva fare di più il Signore? I nostri fratelli Ortodossi evidenziano questo elemento, ricevendo un po’ di questo “miscuglio” sulla lingua: il sacerdote lo dona ai fedeli attraverso un cucchiaino, che contiene pane e vino mescolati insieme. Ci sono anche altre interpretazioni spirituali, tutte molto belle, sulla fractio panis.

Oggi, festa del Corpus Domini, vi propongo di evidenziare questo segno: osservatelo con attenzione: cosa vi dice? “Lo spezzò” è un verbo che ricorre in tutti i racconti dell’istituzione dell’Eucaristia, come anche nei racconti della moltiplicazione dei pani e in quello dei discepoli di Emmaus. I verbi sono sempre quei famosi quattro: prese, benedisse, spezzò, diede. Sono sempre nella stessa identica sequenza. Li abbiamo sentiti pronunciare tante volte: forse ci abbiamo fatto perfino l’abitudine. Se Gesù accetta di essere sminuzzato senza resistenze per amore nostro, accetta di essere spezzato per umiltà, di diventare tanti frammenti per raggiungere tante persone… I significati spirituali sono tanti. Cosa possiamo imparare da Lui? Forse anche noi dobbiamo farci alcune domande: cosa significa per me accettare di distribuire me stesso, non ribellarmi nei momenti in cui mi pare di essere spezzato dal Padre, accogliere veramente l’invito a donarmi? Gesù sapeva benissimo di essere stato tradito. Non si ribella alle sofferenze e umiliazioni che dovrà subire, ma ne fa occasione di un dono completo di se stesso. L’elemento di rottura (tradimento, mancanza di lealtà, inganno, ingiustizia e morte) lui lo trasforma volontariamente in elemento di alleanza.

Questa è la grande trasformazione su cui vorrei richiamare la vostra attenzione oggi: una trasformazione straordinaria. Dobbiamo imparare e cercare di fare lo stesso. Ricevendo la comunione anche noi riceviamo lo stesso dinamismo di amore di Gesù e dobbiamo sforzarci di fare quello che Lui ha fatto. Uniti a lui trasformiamo tutto in amore. L’Eucaristia ci rende capaci di vincere in qualsiasi circostanza, con Cristo. Questo è ciò che un grande studioso, P. Vanhoye, chiama accogliere l’Eucaristia in modo attivo e non passivo. Che il Signore ci aiuti ad imitare nella vita quotidiana ciò che stiamo celebrando! L’Eucaristia è stata prefigurata nella prima lettura, attraverso l’immagine di Melchisedek, re di quella che sarà la futura città della pace, Gerusalemme (Salem = pace). L’Eucaristia é stata preparata da Gesù nell’episodio che abbiamo ascoltato nel Vangelo, la moltiplicazione dei pani; un gesto che, come quello di Melchisedek, era atto di carità per rifocillare persone stanche, ma anche sacrificio, atto sacro accompagnato dalla benedizione. L’Eucaristia è stata finalmente celebrata da Gesù nell’ultima cena, come ci ha raccontato Paolo nella seconda lettura, sacrificio celebrato per la salvezza e la remissione dei peccati. Tutto converge verso ciò che stiamo celebrando ora. È stato prefigurato in Melchisedek, preparato nella moltiplicazione dei pani, realizzato nell’ultima cena.

Questo dinamismo, che ci chiama in causa personalmente, nella nostra vocazione eucaristica, di diventare imitatori del Cristo spezzato per amore, è stato ben intuito da un profeta del nostro tempo. P. Turoldo, nel ricordare Melchisedek, vede in trasparenza la realizzazione della prefigurazione: la pienezza di ciò che era stato solo velatamente annunciato. Le sue parole ci possono aiutare a riflettere personalmente e ciascuno potrà decidere, nel suo cuore, di dire il suo sì a Dio, a una vita eucaristica, fatta degli stessi gesti d’amore, della stessa capacità di perdono, della medesima disponibilità ad accogliere il disegno di Dio, che abbiamo contemplato in Cristo, e che oggi ripetiamo, riattualizzandola, in questa Messa. “Melchisedek: nessuno ha mai saputo di lui,donde venisse, chi fosse suo padre. Questo soltanto sappiamo: che era il sacerdote del Dio altissimo. Era la figura di un altro,l’atteso, il solo re che ci liberi e salvi. Un re che preghi per l’uomo e lo ami, un re che vada a morire per gli altri;uno che si offra nel pane e nel vino si lasci spezzare per il Dio Altissimo in segno di grazie: il pane e il vino di uomini liberi, dietro Abramo da sempre in cammino”.      

L'arte e le Chiese